RECENSIONE
L’inganno. Titolo originale: The Beguiled. Genere Drammatico – USA, 2017. Regia di Sofia Coppola. Un film con Colin Farrell, Nicole Kidman, Kirsten Dunst, Elle Fanning, Oona Laurence.
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Siamo nel 1863, in Virginia, durante la guerra di secessione e tutta la storia si svolge nello stesso luogo: in campagna, in una casa colonica – ovviamente bianca e dalle grandi colonne – adibita a collegio femminile.
L’inganno, ultima opera di Sofia Coppola, è prima di tutto un tripudio di abiti e primi piani, di scene sacre e scene profane mirabilmente a contrasto, ma illuminate dalla stessa luce.
Gli interni sono eleganti, puliti e ordinati, mentre fuori il giardino è incolto; intorno alla casa c’è il bosco, una strada in cui passano i soldati, il rimbombo e il fumo dei cannoni in lontananza.
Nicole Kidman è deliziosa e assolutamente credibile nei panni di un’istitutrice catto-borghese piena di buona volontà, di senso pratico e di desideri repressi. Kirsten Dunst è cresciuta in città ed è arrivata lì a fare l’insegnante, non si sa come o perché; di certo, non è felice di starci e le manca la spensieratezza, il divertimento, l’amore.
Poi, le belle educande: ragazze borghesi mandate dai genitori presso una scuola privata per ricevere un alto grado di educazione e lì rimaste durante la guerra per convenienza dei familiari. Ovviamente la loro istruzione era volta a un buon matrimonio e quindi no, niente matematica e filosofia, ma canto e cucito, giardinaggio e faccende domestiche.
Il loro ensemble rappresenta un coretto delizioso di cattiverie e divertimenti tipici delle ragazze adolescenti: un gruppo così compatto nei cambiamenti di opinioni quanto eterogeneo nei caratteri e nei ruoli. Azzeccata Elle Fanning nei panni della bella smorfiosa, annoiata e seducente.
Poi l’uomo. Bello, ça va sans dire, il personaggio interpretato da Colin Farrell è un tipo un po’ vigliacco, attaccato alla vita e ai suoi piaceri, scaltro ed empatico. Capisce molto presto le dinamiche, le debolezze e le opportunità di casa: se ne diverte. Un po’ troppo.
Sottovaluta, semplicemente, quanto sia devastante l’abisso che separa gli uomini dalle donne quando entrambi interpretano la macchietta di se stessi.
In questo film, le donne sono femmine e l’uomo è un maschio.
Ma le regole sono quelle del matriarcato e non conviene saltare la linea gerarchica, nelle danze. Al primo errore la castrazione, al secondo l’annullamento totale.
Della storia, alla fine, rimane un sorrisetto amaro e un po’ annoiato. Ma, negli occhi, restano i colori, gli abiti, le sensazioni e le luci di una raffinatissima regia.
Sulla pelle il brivido spaventoso di quei sentimenti non detti, di gelosie, invidie e gridolini isterici che tanto confondono e devastano, anche nel nostro quotidiano, le acque delle relazioni.
E, infine, come già nel Giardino delle Vergini Suicide e come per la figura dolce amara di Marie Antoinette, un po’ di pena – color rosa pastello – per tutte quelle donne che si auto condannano all’infelicità piano piano, accanendosi con assurda ferocia contro chi le pone di fronte ai loro limiti. Spesso loro stesse.
Un vero inganno.
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